Self-reflective critique: dialoghi tra arte e soggettività
FM
.. my idea is to look at your work “from the inside towards the outside” .. by this I mean to start the critical reflection from the inside of our dialogical interaction in order to take it outside, towards the audience that will experience your work .. this is perhaps something that may become an inspiration for your approach ..
So dreams are became my practice and the resource of my practice exploring what happen and see if can be a new language to communicate state of vision that no description can go so near them an actual dream. The idea of dreams languages does subvert all the intention of documentation recording notebook and the controlling aspect of the media. Yes you are in control, you will never be.
.. I had a look at the sketches you sent me .. I really like them! it strikes me that they are very rich in details, and, so to speak, ‘of matter’, tangible and substantial, as if they were sticking out of the paper .. I found this quite surprising if compared to the ‘essential’ style of many of your prints which I became familiar with .. I wonder whether this could be a way of responding to ‘given references’ .. I’m thinking through the autobiographical quality of your art – I’m inevitably referring to it throughout my text – and it seems to me that on this occasion, rather than producing an art piece that originates within your personal vision and speaks of your sensation, the work departs from an external reference which your ‘self’ filtered and transformed ..
.. I’m glad that despite such a strong reference in terms of symbolic vision your approach to the poem is far from being illustrative! .. but still, I suppose that dealing with Tassoni’s imagery has involved rethinking your working method, adapting the way your personality approximates the subject.
.. as you know I’ve been long fascinated with language, particularly with reference to translation and the implications of the curatorial act when interpreting the artist’s work .. I cannot help but consider our dialogue from this angle .. so for instance, the fact that translations are necessary to actualize texts .. they depend on the aesthetic of the period, and are infinite, as each period has its own version and vision of a work of art .. to me this speaks about your operation with the poem, which is here not only re-contextualised within the contemporary through a personal reading, but reabsorbed within the ‘self’ and percolating through it, at the same time saturating it and being permeated .. it seems to be following that same motion again, “from the inside towards the outside” .. or perhaps it’s just inside out ..
Self-reflective critique: dialoghi tra arte e soggettività
una riflessione critica di Francesca Marti
L’incontro con l’opera e la poetica di Sara Dell’Onze, avvenuto in anni recenti e consolidato dal reciproco coinvolgimento in progetti espositivi, si è da subito riversato in un dialogo intenso e partecipato, animato da ricorrenti tematiche d’interesse comune, dal corrispondere di influenze e suggestioni. In questo senso, la mia riflessione critica sull’opera dell’artista muove da quella stessa logica dialettica che ne ha contraddistinto le modalità di approccio e interazione, la propensione al confronto e allo scambio, la predisposizione allo svelarsi curioso di pensieri incipienti. Ecco che, plasmata dal flusso intermittente d’immagini e parole, tale riflessione ha potuto collocarsi in medias res, in uno spazio “all’interno” dell’opera cui l’intima conoscenza della stessa ha garantito l’accesso.
In queste pagine, le parole di chi interpreta e decodifica il linguaggio dell’arte si fondono al lessico di chi traduce le parole in tracciati visuali e fa dell’arte parole: arte e critica si incontrano all’interno dell’opera e la riflessione diviene “meta-critica”, poiché filtra attraverso l’opera stessa considerazioni sulla chiave interpretativa e metodologica adottata.
Le osservazioni qui riportate intendono evidenziare alcuni tratti distintivi dell’arte di Sara Dell’Onze, a partire dalla maniera peculiare in cui coniuga l’essenza effimera del tratto inciso alla consistenza del dato corporeo, o l’attitudine a concepire l’atto performativo quale momento di sperimentazione in cui idee e concetti vengono testati nella loro valenza tematica. Ancora, l’incanto onirico che trapela nei tratti abbozzati di stampe e disegni, tracce grafiche che si perdono all’infinito e si ricongiungono nel segno calligrafico; e l’estetica della parola, poesia visiva che raffredda l’immagine, rallenta il coagularsi del flusso emozionale e ne rivela così il significato intrinseco.
La presenza costante dell’opera stampata, su carta o altro supporto, la leggerezza del tratto ottenuto ‘di riflesso’ nell’impressione della matrice, addensa segni effimeri in cui la presenza della corporeità si riafferma non soltanto nell’esercizio pratico e produttivo della stampa, ma soprattutto
nella persistenza della pratica performativa quale elemento fondante dell’atto creativo.
Ecco che l’essenza onirica di questi lavori, enfatizzata dall’incompletezza, il non finito dell’immagine, rinvia a una dimensione interiore sospesa in un tempo indecifrabile, tra rimandi fiabeschi che divengono rievocazioni di un’infanzia possibile e un presente ipotetico bloccato nel dipanarsi del processo performativo. Ma la sostanza del sogno cui questi lavori attingono le proprie suggestioni diviene a sua volta materiale per azioni e performances, la sua evanescenza resa tangibile dal sostrato concettuale che la rende tematica su cui riflettere.
In lavori quali Write a dream on my skin (2005/07), l’entrata in scena dell’artista nello spazio della propria opera è delimitata dal susseguirsi di momenti a sé stanti, happening coincidenti o sequenziali che partecipano al dispiegarsi del lavoro nella sua completezza. Performance, video, installazione, segno inciso e parola scritta, si compenetrano nel loro accadere, e mentre la pelle diventa supporto su cui tracciare pensieri, le tavole inchiostrate moltiplicano il corpo dell’artista imprimendone i tratti su stralci di quotidianità. E il tono autobiografico che sembra così intensamente pervadere l’opera di Sara Dell’Onze assume progressivamente i tratti di un’intimità esposta, offerta allo sguardo esterno attraverso frammenti che traspongono su carta l’intensità di un’azione performativa, a sua volta citazione dell’immagine incisa, mentre il video ne raccoglie e rielabora le suggestioni.
L’approccio dell’artista alla complessità di questo e altri lavori, la capacità di raccogliere stralci poetici in un insieme coerente, rimane, a mio avviso, uno degli aspetti più interessanti dell’opera di Sara Dell’Onze. L’attitudine a perdersi nel flusso mnemonico o emozionale del proprio immaginario risponde all’esigenza di liberare l’universo visuale dall’ovvietà della rappresentazione, per poi immergerlo in uno spazio psichico e mentale. Ma nel momento in cui il tocco espressamente personale emerge questi tasselli disparati si ricompongono in un tracciato riconoscibile cui la mappatura del sé sembra attribuire il senso ultimo.
Qui, la priorità assegnata alla dimensione intima dell’Io, o meglio, la sua intimità svelata, nonché i tempi e modi del suo manifestarsi, s’inseriscono nelle dinamiche dialogiche che mettono in relazione l’opera alla sua rilettura creativa. Allo stesso modo, l’urgenza di un’espressività soggettiva riecheggia nell’interpretazione critica, enfatizzando la necessaria esternazione di un sentire profondamente personale che poco a poco si allarga a chi dell’opera fruisce.
Ma nel momento in cui l’operazione critica viene concepita come processo creativo ne emerge un limite intrinseco, dettato dalla posizione ‘intermedia’ assegnata al ruolo del curatore. Infatti, interposto tra il rapporto con l’artista (l’interpretazione critica dell’opera d’arte) e la responsabilità verso il pubblico (la traduzione del lessico artistico ai fini dell’accessibilità culturale), il gesto critico rischia di diluire la propria potenzialità discorsiva in un semplice atto di ‘mediazione’. L’idea è pertanto quella di ridefinire l’attività critica come metodologia dialogica che attraverso la sua portata comunicativa sappia scavalcare la proposizione di una descrizione puramente oggettiva, illustrativa, dell’opera, o la riduzione del concetto di ‘accessibilità’ a mera semplificazione del messaggio estetico.
Il linguaggio in quanto microcosmo d’interazione diviene quindi spazio d’azione e strumento operativo nel riposizionare il rapporto tra arte e critica all’interno dell’opera; e nel momento in cui il linguaggio entra nell’opera, il suo significato intimo, criticamente rielaborato, fuoriesce.
Allo stesso modo in cui ogni vocabolo assegnato a queste pagine accuratamente risponde alla mia visione della creazione artistica, e riflette la costruzione semantica del mio sentire critico, il potere della parola materializza nel lavoro di Sara Dell’Onze un’identità che sta all’esterno e si cristallizza nei tracciati calligrafici delle stampe, nella lucente solidità delle scritte al neon, o nella grafia labile dei video. Se il subentrare della parola nell’opera, al tempo stesso, allenta la tensione dell’impronta autografa e la riafferma, destabilizza la purezza evocativa dell’immagine e la riconfigura nell’eloquenza del titolo, nell’ambito del testo critico la forza espressiva del linguaggio diviene sfondo e contesto, canovaccio su cui imbastire la riflessione e scenario sul quale presentarla; qui, mentre l’arte si presta a un confronto che ne sviscera l’essenza, il gesto critico appronta una discussione auto-riflessiva che, nell’approssimare la realtà dell’opera, rielabora i propri limiti e potenzialità.
Francesca Marti 2011